C’è chi, come la società di servizi ristorazione e ricevimenti Summertrade di Rimini, recupera 11mila piatti gourmet destinati al macero e li dona agli indigenti; c’è chi, come la Nestlé Italia, nel tempo ha imparato a ridurre gli sprechi, donando il 100% del surplus nei prodotti “best before” (quelli, per intenderci, con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”); c’è chi, come la Cuki (packaging alimentare), si dà da fare perché il cibo non consumato in mense ospedaliere o aziendali non vada perduto, anzi redistribuito (in cinque anni ben 2,5 milioni di porzioni), a favore dei poveri; c’è addirittura chi, come nel caso della campagna Viakal promossa in questi mesi da P&G, si impegna a “trasformare” la lotta al calcare in un contributo contro lo spreco alimentare.
Non c’è che dire: l’impegno e la fantasia, alle aziende che operano nella filiera alimentare, non mancano certo, pur di sconfiggere lo spreco. I numeri (fonte: Politecnico di Milano) fanno impressione: dai campi al consumatore finale ogni anno in Italia 5,6 milioni di tonnellate di cibo vengono prodotte in eccedenza e ben 5,1 milioni diventano spreco, per un valore di 12,6 miliardi di euro. In pratica, 210 euro per persona all’anno che finiscono tra i rifiuti. Fortunatamente la cultura del recupero si sta facendo strada, visto che le eccedenze recuperate e redistribuite negli ultimi quattro anni sono cresciute dal 7,5% al 9% attuale, ma molto resta da fare.
Da poco più di un mese, però, un prezioso aiuto arriva dalla legge 166/2016, che prevede semplificazioni burocratiche e sgravi fiscali a favore di chi dona cibo per fini di solidarietà. La “legge Gadda” (dal nome della promotrice, la deputata Pd, Maria Chiara Gadda), oltre a riconoscere il valore prioritario della donazione rispetto alla distruzione e ad ampliare la platea dei soggetti a finalità sociale, introduce diverse novità rilevanti per le imprese: nessuna comunicazione preventiva (5 giorni prima) alle Entrate, ma solo consuntiva a fine mese per le donazioni e nessuna comunicazione per quelle di valore inferiore ai 15mila euro (prima il limite era di 5mila euro) o deperibili; distinzione netta tra “Termine minimo di conservazione” (Tmc, cioè prodotti che oltre una certa data sono ancora commestibili senza rischi per la salute) e data di scadenza, rendendo ora possibile la cessione gratuita di Tmc in tutta sicurezza; facoltà ai Comuni di ridurre la Tari alle imprese che documentano le donazioni.
«Davanti al fenomeno dello spreco alimentare non basta indignarsi o limitarsi al, pur positivo, impeto di generosità. Bisogna abituarsi a una modalità operativa sistematica. Ora ci sono criteri e regole: chi può attuare ciò che la legge favorisce nel campo della raccolta delle eccedenze alimentari lo faccia, perché ne vale la pena – così Andrea Giussani, presidente della Fondazione Banco Alimentare Onlus, commenta l’arrivo della legge 166 -. Un provvedimento atteso, perché scioglie alcuni nodi operativi molto sentiti dalle imprese della filiera agroalimentare».
Per le aziende, in effetti, la “Gadda” supera l’esame a pieni voti. Lungo tutta la filiera, a partire dai frutteti, «fabbriche a cielo aperto, soggette a oscillazioni stagionali molto forti e a picchi di offerta difficilmente smaltibili – osserva Davide Vernocchi, presidente di Apo Conerpo, leader europeo nel settore dell’ortofrutta, che ogni anno distribuisce 5mila tonnellate di frutta agli indigenti -. La legge agevola anche la raccolta in campo. E in un prossimo futuro spero che il bacino di riferimento delle donazioni venga ampliato, dal livello nazionale a quello europeo e che si possa agevolare fiscalmente la trasformazione industriale di queste eccedenze per scopi sociali».
«È una legge fatta bene, perché affronta il tema della lotta allo spreco con serietà, attenta alle esigenze concrete degli operatori» conferma Roberto Guizzardi, a.d. di Felsinea Ristorazione, che attraverso una decina di mense e self service (ma l’obiettivo è arrivare a 25) dona ogni anno 50mila porzioni di cibo. Sulla stessa lunghezza d’onda Manuela Kron, direttore Corporate affairs di Nestlè Italia, azienda che ogni anno in media dona cibo per un valore superiore ai 2 milioni di euro: «La legge Gadda, tagliando le procedure burocratiche inutili e offrendo nuovi incentivi, rende le persone che si occupano della raccolta delle eccedenze più motivate, pronte a fare volentieri anche l’”ultimo miglio” pur di sprecare il meno possibile».
Giudizi positivi arrivano dalla grande distribuzione. Gli ipermercati Auchan e i supermercati Simply, per esempio, mediamente donano in un anno oltre un milione di pasti e «ora – afferma Carlo Delmenico, direttore Responsabilità sociale d’impresa di Auchan Retail Italia – c’è la possibilità di poter costruire insieme ai Comuni dei meccanismi di incentivazione attraverso agevolazioni fiscali. Siamo già coinvolti in alcuni tavoli istituzionali e siamo disponibili a collaborare su eventuali altri progetti locali». Anche il Gruppo Gabrielli (insegne Oasi e Tigre, 31.874 kg donati nel 2015 coinvolgendo 18 punti vendita nelle regioni del Centro Italia) proprio grazie alla legge Gadda ha intenzione – lo conferma la vicepresidente Barbara Gabrielli – «di estendere il recupero delle eccedenze a un numero ancora maggiore di punti vendita».
In effetti la legge Gadda dà nuova linfa alle iniziative. «Secondo le stime – osserva Gregorio Fogliani, presidente di Qui Foundation, che ha lanciato una Onlus attiva dal 2008 con il progetto “Pasto buono” e 800mila pasti recuperati – questa legge potrebbe dimezzare il volume degli sprechi nel giro di dieci anni». E se Giussani conferma l’interesse delle aziende («In questo mese abbiamo già ricevuto più di 50 richieste di informazioni o di collaborazione, da grandi imprese a piccoli punti vendita»), per le imprese la legge Gadda non è comunque punto d’arrivo. Un bel passo avanti, sì, ma migliorabile. «Per il futuro una raccomandazione – puntualizza Stefania Agostini, direttore Business unit Eventi & Congressi del gruppo Rimini Fiera (società che gestisce i servizi catering delle fiere tramite Summertrade) -: più coraggio sugli sgravi Tari. Più che essere lasciati alla discrezionalità dei Comuni, bisogna rendere la tariffa un incentivo premiante per chi dona il cibo, perché donare è un risparmio economico e un gesto che crea valore sociale».
(IlSole24ore – 17.10.2016)